Cancel Culture: antitesi del progresso

Cancel Culture: antitesi del progresso. In pochi oggi hanno il coraggio e la carica morale di opporsi apertamente al mainstream culturale che impone invece un’idea di poltiglia sociale informe e che considera i cittadini come membri di un’unica cosmopoli pseudo-democratica senz’anima e valori.

Mario Orabona
Dott. Mario Orabona

George Orwell, nel suo capolavoro letterario “1984”, mettendo in guardia il lettore circa le mire del regime di “controllare” perfino il tempo attraverso la riscrittura del passato, sentenziava: “Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato”.

Chissà se gli estensori della narrativa dominante odierna, quella cd. “buonista”, si siano ispirati anche alla visione distopica orwelliana nell’esasperare taluni movimenti (es. #MeToo, #BlackLivesMatter, #GenderFluid, #LGBTQ+, etc) fino al fenomeno della “cancel culture”.

Un movimento culturale neo-iconoclasta ormai predominante, sebbene affetto da una grave forma di autismo etico sulla cui base la realtà viene dapprima scomposta e poi ricomposta in modo selettivo secondo un moderno pantheon valoriale del tutto parziale, ma presentato e imposto - attraverso abili mistificazioni - come indiscutibilmente equo, puro, giusto, in due parole: “politicamente corretto”.

L’ostracismo della storia ed il boicottaggio del passato, per quanto a volte scomodo, sono invece un attentato al presente ed al futuro. Appare, infatti, evidente che cancellare il passato non vuol dire costruire il futuro, così come voler preservare le tradizioni non vuol dire opporsi al progresso. 

Non bisogna esser ingegneri per comprendere che un edificio sia solido solo se poggia su fondamenta altrettanto solide, e sottrarre mattoni dalla base al fine di innalzarlo non sia saggio.

Tuttavia, per quanto tale ragionamento sia banale e immediato, in pochi oggi hanno il coraggio e la carica morale di opporsi apertamente al mainstream culturale che impone invece un’idea di poltiglia sociale informe e che considera i cittadini come membri di un’unica cosmopoli pseudo-democratica senz’anima e valori, numeri calati in una matrice a loro stessi superiore e sconosciuta. L’aulico linguaggio dei mass media parla di melting pot, ma parlare di matricole senza nome sarebbe certamente più efficace.


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di Mario Orabona

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