Il mare: una miniera di risorse

La Terra è chiamata il “pianeta blu” perché il 71% della sua superficie è ricoperto d’acqua. 
Si calcola che la quantità totale di acqua raggiunga il volume di 13,6 miliardi di chilometri cubi, di cui il 97,2% è costituito dagli oceani e il 2,15 dalle calotte polari. Dagli oceani si ricavano ricchezze che possono essere valutate intorno ai 21 miliardi di dollari all’anno, contro i 15 della terraferma. La cifra, che include lo sfruttamento industriale delle risorse e anche il valore turistico
 degli oceani, potrebbe presto raddoppiare con l’aumentare delle conoscenze sugli abissi. Il mare è una risorsa in gran parte inesplorata: un litro d’acqua marina può contenere 20mila specie diverse di batteri, di cui la maggior parte sconosciute. Sui rilievi sottomarini che si elevano anche più di mille metri dai fondali, lungo le dorsali oceaniche e nelle fosse più profonde si cela un mondo abitato da organismi che hanno saputo adattarsi ad ambienti inospitali. 




Per esempio i molluschi “mangiametano” che vivono a ridosso di geyser sottomarini, i gamberi giganti che si ritenevano estinti da 50 milioni di anni, gli squali che vivono a 4mila metri di profondità nel buio totale e gli organismi unicellulari più grandi di una mano. Il progetto “Census of Marine Life”, durato dal 2000 al 2010, aveva lo scopo di contare tutte le specie viventi che popolano mari e oceani terrestri. Sono stati scoperti soprattutto crostacei (il 19% delle specie censite), seguiti da molluschi (17%) e pesci (12%), mentre alghe e protozoi rappresentano ciascuno il 10% della biodiversità marina. Gli esperti affermano che il censimento comprende solo il 70% delle specie esistenti. Gli oceani sempre più spesso vengono scandagliati alla ricerca di risorse 
minerarie. Ci sono infatti depositi di metalli importanti come manganese e cobalto che, con l’esaurirsi delle miniere continentali (e il prezzo di mercato in vertiginosa risalita), iniziano ad attrarre parecchio interesse. Ci sono poi i depositi di gas, come il metano (in forma liquida a oltre 800 metri di profondità), le cui riserve potrebbero coprire il fabbisogno dell’umanità per i prossimi 100 anni. Infine c’è la frontiera del “bioprospecting”: l’esplorazione dei fondali.


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